Analisi della sentenza
Il caso in esame riguarda una causa legale che coinvolge un’ATI (Associazione Temporanea di Imprese) appellante, che ha fatto ricorso contro l’esclusione dalla gara pubblica per l’affidamento dei servizi di accoglienza e gestione per minori stranieri non accompagnati (MSNA) presso una struttura comunale. Il ricorso è stato respinto dalla prima istanza, con successivo appello. Il tema centrale della controversia riguarda l’esclusione dell’ATI dalla gara a causa della mancata iscrizione nella cosiddetta “white list”, una lista istituita presso la Prefettura per monitorare l’assenza di infiltrazioni mafiose nelle imprese che partecipano agli appalti pubblici.
L’ATI appellante ha contestato l’esclusione dalla gara sostenendo che la sua offerta era conforme ai requisiti richiesti dal disciplinare di gara, soprattutto per quanto concerne l’erogazione del servizio di preparazione/fornitura pasti. L’ATI aveva dichiarato di affidare il servizio di ristorazione a un soggetto esterno, che sarebbe stato l’unico obbligato all’iscrizione nella white list. L’appellante ha fatto leva su una presunta errata interpretazione del disciplinare da parte del giudice di primo grado, argomentando che la scelta di affidare il servizio a terzi non implicasse l’esclusione automatica per la mancanza di iscrizione nella white list da parte delle cooperative partecipanti.
Tuttavia, la sentenza di primo grado ha confermato che la mancata iscrizione nella white list costituiva effettivamente motivo di esclusione, rilevando che il servizio di preparazione/fornitura pasti rientrava tra le attività “sensibili” previste dalla legge, per le quali la legge imponeva espressamente l’iscrizione. L’articolo 9 del disciplinare di gara, infatti, stabiliva che i partecipanti alla gara dovevano essere iscritti nella white list, a pena di esclusione. Questa iscrizione è considerata un requisito generale di moralità professionale e, quindi, vincolante per la partecipazione a gare pubbliche, inclusi i servizi non solo di tipo “operativo” ma anche “indiretto”, come quello della ristorazione.
Il giudice di primo grado, come evidenziato nella sentenza appellata, ha giustamente sottolineato che il servizio di ristorazione rientra nelle attività considerate “sensibili” e che quindi la sua fornitura necessitava di un operatore iscritto nella white list. La sentenza si allinea con la giurisprudenza precedente, che considera la mancata iscrizione come una causa di esclusione automatica, al fine di garantire la trasparenza e la legalità negli appalti pubblici.
Diligenza e responsabilità professionale
Un altro aspetto chiave della sentenza riguarda il principio di “autoresponsabilità” e “diligenza professionale”. Questo principio implica che le imprese partecipanti a gare pubbliche abbiano la responsabilità di garantire che tutti i requisiti richiesti siano soddisfatti prima della presentazione dell’offerta. In questo caso, le cooperative dell’ATI, pur avendo scelto di affidare il servizio di ristorazione a terzi, non hanno assicurato che il loro subappaltatore fosse regolarmente iscritto alla white list. La responsabilità di verificare questi dettagli ricade sull’ATI stessa, che non ha esercitato la diligenza necessaria nel garantire la conformità della propria offerta ai requisiti legali.
Un altro elemento rilevante della sentenza riguarda le accuse mosse dall’appellante di “ultrapetizione”, ovvero di un eccesso di potere del giudice che, nel formulare la sua decisione, avrebbe aggiunto motivazioni non sollevate dalle parti in causa. L’appellante sosteneva che il giudice di primo grado aveva operato una “integrazione” della motivazione dell’atto di esclusione, sostituendosi in tal modo alla stazione appaltante. Tuttavia, il Collegio ha escluso tale argomentazione, ritenendo che il giudice avesse legittimamente esaminato la questione alla luce della normativa applicabile e della necessità di garantire la trasparenza e la legalità nel processo di selezione.
Infine, la sentenza ha ribadito che l’appello dell’ATI era inammissibile sotto diversi profili processuali. In particolare, l’ATI aveva sollevato nuovi motivi di censura non formulati nel ricorso di primo grado, violando così l’articolo 104 del codice del processo amministrativo, che vieta il mutamento della causa petendi (la causa del ricorso) in appello. Inoltre, le censure riguardanti la mancata valutazione da parte della stazione appaltante e del giudice di primo grado del fatto che il servizio di ristorazione era stato affidato a un terzo non erano state adeguatamente esplicitate nel ricorso iniziale e, pertanto, non potevano essere introdotte in appello.
Conclusione
Alla luce delle considerazioni precedenti, il Collegio ha respinto l’appello, confermando la legittimità dell’esclusione dell’ATI dalla gara. Il principio dell’iscrizione alla white list come requisito per la partecipazione agli appalti pubblici, soprattutto per servizi sensibili come quello della ristorazione, è stato ritenuto valido e applicabile. La sentenza ha ribadito l’importanza di garantire la legalità e la trasparenza negli appalti pubblici, nonché la responsabilità delle imprese di garantire la conformità alle normative vigenti.
In sintesi, la sentenza in esame ha confermato l’importanza di rispettare rigorosamente i requisiti di partecipazione previsti dai bandi di gara, in particolare quelli legati alla prevenzione delle infiltrazioni mafiose, e ha ribadito il principio di diligenza e responsabilità delle imprese nei processi di selezione pubblica.